Amnistia in Russia per gli attivisti di Greenpeace, le Pussy Riot e molti altri. “Save the Arctic!”

Il Parlamento russo ha formalizzato un provvedimento di amnistia che conclude anche il procedimento legale aperto contro gli Arctic30, i 28 attivisti di Greenpeace e i 2 giornalisti freelance che il 18 settembre scorso erano stati arrestati dalla Guardia Costiera russa. Erano stati accusati prima di pirateria e poi di vandalismo, in seguito ad un’azione dimostrativa e pacifica alla piattaforma di estrazione petrolifera Prirazlomnaya, nella Russia Artica, per protestare contro le trivellazioni della Gazprom. Anche le due Pussy Riot Nadia Tolokonnikova e Maria Alyokhina, in carcere con l’accusa di teppismo per una performance punk rock anti-Putin nella cattedrale di Mosca, con una condanna di due anni, potrebbero essere liberate presto. Il provvedimento prevede l’amnistia per i condannati a reati che prevedono meno di 5 anni di reclusione e per gli imputati di reati minori in attesa di giudizio, incluso quello di teppismo, le madri di figli minori, minorenni, disabili, veterani. Secondo molti osservatori, si tratta di una mossa mirata a placare le critiche alla Russia in vista delle Olimpiadi invernali di Sochi, in programma a febbraio.

Il gruppo degli Arctic30

I 26 attivisti non russi di Greenpeace saranno liberi di tornare a casa dalle loro famiglie non appena sarà loro riconosciuto il visto di uscita da parte delle autorità russe. Tra questi, Cristian D’Alessandro, unico italiano, afferma: «Sembra che io possa finalmente tornare a casa. Sono ancora abbastanza amareggiato, perché c’è una corte internazionale che ha ordinato il nostro immediato rilascio. Abbiamo passato più di due mesi in carcere per niente, stanno ancora cercando prove che non troveranno mai perché, secondo i nostri principi di pacifismo e nonviolenza, non c’è niente che possa essere ricondotto ad accuse di vandalismo o pirateria. Sono passati tre mesi da quando tutto questo è iniziato, – conclude D’Alessandro – quindi sì, voglio tornare a casa!».

Peter Willcox, capitano dell’Arctic Sunrise,  la nave di Greenpeace, ha dichiarato: «Potrei subito poter tornare a casa dalla mia famiglia ma non sarei mai dovuto essere stato accusato e imprigionato. Ci siamo imbarcati per testimoniare la minaccia che l’ambiente sta subendo e la nostra nave è stata abbordata da uomini mascherati con pistole e coltelli. Ora è quasi finita e potremmo essere presto liberi ma non c’è amnistia per l’Artico. L’Artico rimane un tesoro globale molto fragile minacciato dalle compagnie petrolifere e dalle temperature in aumento. Siamo andati lì per protestare contro questa pazzia. Non siamo mai stati criminali».

Ma perché gli attivisti protestavano contro la Gazprom? Come si legge sul sito di Greenpeace, «in primo luogo perché la Prirazlomnaya avrebbe il triste primato di essere la prima piattaforma ad entrare in funzione in un’area dove per 2/3 dell’anno il mare è ghiacciato. Il petrolio dell’Artico fa gola a molti, ma non risolve i problemi energetici: si tratta di una quantità marginale a livello globale. In cambio rischiamo un disastro ambientale senza precedenti: le tecnologie esistenti per intervenire in un incidente petrolifero non funzionano a temperature così basse come quelle artiche. Sarebbe un disastro totale, in caso di incidente verrebbero coinvolte fino a 3 mila miglia di coste. E a pagare non sarebbe certo Gazprom, ma i cittadini e l’ambiente». Maggiori informazioni sulla campagna Save The Arctic: www.savethearctic.org

Una volta che il progetto di legge di amnistia sarà approvato, non è ancora chiaro se gli attivisti non russi potranno lasciare il paese. Al momento non dispongono dei timbri necessari sui loro passaporti poiché trasferiti in Russia dalla guardia costiera dopo essere stati illegalmente abbordati in acque internazionali. Il destino dell’Arctic Sunrise, al momento trattenuta a Murmansk, rimane incerto, nonostante il Tribunale del Diritto del Mare ne abbia stabilito il dissequestro.

La campagna per liberare gli Arctic 30 ha visto 860 proteste in ben 46 paesi e più di 150 città del mondo. Più di due milioni e mezzo di persone hanno scritto alle ambasciate russe. Messaggi di sostegno sono giunti da Paul McCartney, Madonna, Jude Law, Ricky Martin, Darín, Alejandro Sanz, Pedro Almodóvar e altri famosi personaggi. Figure politiche quali la Presidente brasiliana Dilma Rousseff, Angela Merkel, David Cameron, François Hollande, Ban Ki-moon e Hillary Clinton, insieme a premi nobel quali Desmond Tutu, Aung San Suu Kyi hanno anch’essi richiesto la liberazione degli Arctic30.

Per quanto riguarda invece le 3 Pussy Riot, Nadezhda Tolokonnikova, Yekaterina Samutsevich e Maria Alyokhina, furono arrestate perché hanno cantato mascherate una preghiera anti-Putin il 21 febbraio 2012 nella cattedrale del Cristo Salvatore a Mosca. Il 17 agosto sono state condannate a scontare due anni di carcere. Yekaterina è stata poi scarcerata. Le altre due sono ancora in prigione e Nadezhda, dopo uno sciopero della fame impegnativo, è stata spedita in Siberia. Le Pussy Riot sono un collettivo punk femminista nato a Mosca nell’estate del 2011, il giorno in cui è stato annunciato il ritorno di Putin. La loro arte sta proprio in performance pubbliche di dissidenza politica.

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